scarica lo speciale di UPPA sul co-sleeping

co-sleeping

 - Anna Maria Moschetti, pediatra, Palagiano

Quale bambino prima o poi non ha passato una o più notti nel lettone con i suoi genitori? Quanti si rifiutano a lungo di dormire nel loro lettino e quanti invece, se pure si ci sono addormentati, a metà notte migrano nel lettone?

Si può dire che quasi tutti i bambini piccoli sceglierebbero di dormire con i genitori: co-sleeping è il termine col quale viene definito nella comunità scientifica il dormire insieme.

È un’abitudine che ci accomuna ai primati non umani, le scimmie, che sono geneticamente molto vicini a noi e che la praticano abitualmente: il piccolo della scimmia dorme sempre con sua madre. Dormire insieme è inoltre una consuetudine molto diffusa presso tutti popoli del mondo, nella società occidentale è caduta in disuso solo da qualche decennio: si può dire dunque che per il piccolo dell’uomo è assolutamente una novità l’essere messo a dormire da solo. Una novità utile, o no?

Una questione d’istinto

Il piccolo dell’uomo nasce immaturo, dovranno trascorrere molti anni prima che divenga adulto, in tutto il suo sviluppo e, soprattutto quando è più piccolo, è estremamente vulnerabile ai pericoli ambientali. Nei millenni della storia dell’umanità solo i piccoli che efficacemente si tennero vicini alla madre sopravvissero ai pericoli dell’ambiente: ai predatori, al freddo, alla fame, all’essere dispersi dal gruppo.

Si è formata così una capacità di promuovere la propria sopravvivenza attraverso strategie di comportamento che ciascun neonato riceve in dotazione dalla Natura, è cioè geneticamente determinata; fra queste c’è il “Sistema comportamentale dell’attaccamento”:

il bambino fino ai 6-7 mesi si segnala fondamentalmente piangendo e si quieta col contatto fisico, al suono della voce, alla visione di un volto umano, succhiando qualcosa, oppure dondolandosi;
il bambino più grande è capace di riconoscere e richiamare alla mente l’immagine di molte cose che ha visto e che ora ricorda, soprattutto l’immagine della madre; diviene capace dunque di accorgersi della sua assenza e di cercarla consapevolmente per raggiungerla più attivamente;
verso gli 8-9 mesi per quasi tutti i bambini questa fase è stata raggiunta ed è facilmente riconoscibile per la comparsa dell’ansia da separazione.

Il bimbo sorveglia la mamma

Quando il bambino si accorge che la madre è assente o distante prova una sensazione di ansia che può farlo piangere; mentre prima andava in braccio a chiunque, ora inizia a piangere all’estraneo e non tollera facilmente di essere separato da sua madre. È in questo periodo che anche i bambini che dormivano molte ore consecutivamente iniziano a svegliarsi e a richiamare la madre col pianto cercando di ricongiungersi a lei.

Di giorno il bambino, anche durante il gioco, non supera una certa distanza da sua madre e ne controlla di tanto in tanto la vicinanza con lo sguardo, cerca di avvicinarsi se si è troppo allontanato, la madre fa altrettanto con un comportamento complementare e reciproco; questo comportamento si manifesta intensamente fino alla fine del 3° anno, ma rimane attivo per tutta l’età dello sviluppo e poi per tutta la vita, in forme sempre più blande.

Ovviamente, poiché questo comportamento nasce e si struttura per la difesa del piccolo dai pericoli dell’ambiente, l’attaccamento viene soprattutto espresso in presenza di situazioni che il bambino, istintivamente o consapevolmente, giudica pericolose: se la madre è distante o assente, se è malato, se c’è un estraneo o si trova in un ambiente sconosciuto, se c’è un forte rumore, se c’è buio. È facile capire che di notte, al buio, solo nella sua culla, il bambino piccolo, quando si sveglia, sente l’ansia della separazione e cerca di ricongiungersi a sua madre.

Ma poi tutto cambia

Ma come mai il sistema comportamentale dell’attaccamento si disattiva e i bambini, chi prima chi dopo, diventano capaci di tollerare la separazione e di quietarsi anche senza un contatto fisico e infine dormono da soli senza ansie?

La madre risponde alle richieste di vicinanza del bambino a sua volta attivando una sua capacità innata, a cui corrisponde una sensazione di gioia di accudire il suo bambino; ogni madre risponde alle richieste del figlio in relazione anche al suo carattere e al ricordo che lei ha delle cure e dell’accudimento che le furono prestati quando era bambina. Ogni madre pertanto ha il suo stile di risposta alle richieste del figlio.

La maggior parte delle madri attente ai bisogni del bambino, risponde in maniera costante, coerente e sensibile alle richieste di vicinanza e di rassicurazione. Così nel tempo il bambino si rassicura e finisce per sapere che la mamma, anche se non c’è, è pronta ad accorrere al bisogno. Finisce inoltre per sapere di essere capace ed efficace nel richiamarla, e che, quando ce ne sarà il bisogno, potrà farlo facilmente.

Paradossalmente più al bambino piccolo verrà data la possibilità di stare vicino alla madre quando lo richiede, più sarà capace in seguito di stare da solo. Più verrà accolto il suo desiderio di dipendenza quando è piccolo, più facilmente diventerà, in seguito, autonomo.

Trascurare sistematicamente le richieste di vicinanza del bambino o rispondervi in maniera incostante rallenta o ostacola questo processo di formazione della sicurezza interiore. Pertanto, si può concludere che ogni madre sa che il bimbo piccolo può chiedere di stare vicino di notte soprattutto quando è più piccolo, quando ha paura, quando è malato, quando è ansioso per qualunque motivo e che un co-sleeping a richiesta come si fa con l’allattamento è probabilmente la strategia più giusta.

Cosa dice la scienza

Gli studi di epidemiologia ci dicono che a 9 mesi l’84% dei bambini si sveglia almeno una volta con un picco di risvegli a 2 anni; fino ai 3 anni, e soprattutto verso i 18 mesi, moltissimi bambini dormono nel lettone con i genitori per tutta la notte o per una parte della notte, questa abitudine diminuisce negli anni e tra i 5 e i 10 anni praticamente tutti imparano a dormire tranquillamente da soli.