E Se Non Vuole Frutta e Verdura ?

Verso il secondo-terzo anno di vita il bambino sviluppa un'avversione verso alcuni cibi, un comportamento dovuto alla nostra evoluzione

 - Costantino Panza, pediatra, S.Ilario d'Enza (RE)
   Stefania Manetti, pediatra di famiglia, Piano di Sorrento (NA)

 

«Mio figlio non mangia frutta e verdura!». È questa un’affermazione ricorrente in quasi tutte le famiglie. Come mai ai bambini raramente piace mangiare frutta e verdura? Frutta e verdura sono alimenti fondamentali per una sana alimentazione.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità e molte società scientifiche hanno sottolineato che il consumo giornaliero di almeno cinque porzioni di frutta e verdura al giorno riduce il rischio di malattie come il cancro, l’infarto, il diabete e le malattie cardiovascolari. Questi consigli alimentari sono validi sia per gli adulti che per i bambini.

Il perché di certi “capricci”

I bambini, durante la fase delle prime pappe, iniziano a mangiare e a esplorare tutti i sapori, soprattutto frutta e verdura, con entusiasmo. Guardano con eccitazione ogni cibo che presentiamo a tavola e assaggiano con piacere tutto quello che è commestibile.

A partire dal secondo-terzo anno di vita, spesso iniziano a restringere le loro scelte alimentari, preferendo il consumo ripetuto di pochi cibi, rifiutando l’assaggio di cibi nuovi o di alimenti che prima venivano gustati con piacere.

La specie umana ha vissuto per centinaia di migliaia di anni nelle savane e nelle foreste, a stretto contatto con la natura: solo nelle ultime poche migliaia di anni abbiamo iniziato a costruire villaggi e città, alimentandoci con i prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame. Prima di questo periodo, l’uomo si cibava direttamente dei frutti che la terra offriva e della poca carne che riusciva a cacciare. Viveva in gruppi di una cinquantina di persone o poco più, che non avevano una dimora fissa ma erano in perenne cammino alla ricerca di una terra che offrisse del cibo.

Alcuni gruppi di questi popoli “primitivi” sopravvivono ancora oggi. Durante la giornata le mamme con i bimbi più piccoli, portati in fascia, si allontanavano alla ricerca di cibo, mentre i bambini più grandi rimanevano a giocare nell’accampamento, accuditi a distanza dai nonni.

Immaginate un bambino di 3 anni che, giocando, vede una bacca colorata e se la porta alla bocca per assaporarla: c’è la possibilità che questa sia velenosa e che il bimbo, mangiandola, rischi la vita. Ecco perché nel corso della nostra lunga evoluzione, abbiamo selezionato geneticamente (e quindi inconsapevolmente) un comportamento che riduce la possibilità di mangiare cibi freschi, colorati, preferendo i “soliti” cibi, possibilmente di colore chiaro e di consistenza croccante, durante il periodo della crescita. Questo comportamento, che in tempi antichissimi salvava la vita ai bambini, ora, ai giorni nostri, dove ogni alimento è confezionato, etichettato e super controllato, è diventato controproducente in quanto riduce la possibilità di avere una dieta sana e diversificata.

Neofobia: la paura del nuovo

Quando a tavola sentiamo dire con disgusto: «Non mi piace!», dobbiamo sapere che si tratta di un comportamento naturale definito dai ricercatori che lo hanno studiato “neofobia ai cibi”. Ora siamo nei guai. Una dieta sempre variata e ricca di frutta e verdura ha un effetto benefico sulla salute, ma sappiamo anche che nostro figlio facilmente rifiuterà questo tipo di sana alimentazione. Come fare, allora?

I ricercatori, che hanno studiato questo comportamento, hanno dimostrato che tale modo di fare è influenzato al 75% dalla genetica (e qui possiamo intervenire ben poco), ma, buona notizia, al 25% è influenzato dall’ambiente, quindi dai comportamenti di mamma e papà. Qualcosa, allora, si può fare.

Il buon esempio…

Innanzitutto, si può continuare a offrire un cibo nuovo anche se il bambino lo rifiuta: è stato dimostrato che anche dopo 10-20 offerte ripetute, il bimbo inizierà ad assaggiare quel cibo. I bambini imparano spesso per imitazione: se un genitore ha una dieta variata e mangia sempre con piacere ed entusiasmo, a ogni pasto, frutta e verdura, il bambino potrà imparare attraverso tale testimonianza ad assaggiare questi alimenti. Anche l’osservazione tra pari, alla mensa dell’asilo o della scuola d’infanzia, può aiutare molto.

È stato inoltre sperimentato che il bambino imita il comportamento dell’eroe preferito; ai tempi dei cartoni animati di Braccio di ferro ci fu un notevole aumento del consumo di spinaci in scatola da parte dei bambini: occhio quindi alle preferenze alimentari degli eroi che i nostri bambini vedono sullo schermo o nelle pubblicità!

A tavola è importante il rispetto della persona. Quando noi diciamo: «È buono per te: mangia», diamo un giudizio che non spetterebbe a noi, ma al bambino. Ecco, proviamo a immaginare come ci potremmo sentire noi se una persona ci parlasse in questo modo. Possiamo dire, invece: «Ha un buon sapore, mi ha fatto piacere assaggiarlo. Che sapore ha, secondo te?». Offrire non vuol dire mai insistere: è stato dimostrato che insistere perché il bambino mangi rafforza il disgusto per quel cibo. Non insistete mai!

Assaggiando s’impara

Ci sono altri trucchi speciali che vi sveliamo con piacere. Già nella pancia della mamma, il bambino assapora i cibi di cui lei si nutre. Se la futura mamma si alimenta con cibi sempre diversi e sani, è stato confermato che il bambino, al momento delle pappe, preferirà i sapori di cui ha un ricordo fetale!

Così è anche per la mamma che allatta: il latte materno prende il sapore dei cibi che la mamma mangia durante il giorno. Il bambino non rifiuta ma gradisce il sapore del latte della mamma che varia di continuo e questo favorirà un divezzamento ricco di entusiasmo del bimbo verso nuove proposte: più sapori durante l’allattamento favoriscono un divezzamento ricco di nuovi cibi.

Quindi non ci sono cibi da non mangiare perché danno un cattivo sapore al latte: è vero il contrario! Più “degustazioni” farà il bambino a partire dallo svezzamento, minori saranno le sue neofobie da grande. Un motivo in più per non ritardare l’introduzione di cibi nuovi